La Cina ci ha spinti ad innovare! L’analisi del Prof. Bloom (Stanford)

by Redazione
innovazione UE e USA spinta dalla Cina

Quello della globalizzazione è un fenomeno ormai ampiamente avviato che, come noto, ha dei risvolti decisivi per l’economia e per il mondo del lavoro. In tal senso, le implicazioni sono molteplici: da un lato le aziende possono indirizzare più agevolmente i propri commerci anche all’estero, costruendo così dei business di livello internazionale, dall’altro la possibilità di delocalizzare con altrettanta semplicità le fasi produttive nelle aree del mondo dove la manodopera costa meno può comportare la perdita del posto di lavoro per tantissime persone.

Un altro aspetto fondamentale è quello relativo alla competitività sul mercato, sicuramente stimolata dalla presenza di aziende dalle diverse nazionalità. In un’articolo scritto sul sito della Stanford Graduate School of Business, il reporter Edmund L. Andrews riporta l’analisi di Bloom (docente di economia presso la Stanford University) sulla “spinta all’innovazione” fornita dalla Cina nei confronti degli Stati uniti e dell’Europa negli ultimi 20 anni. Vediamo cosa è stato detto!

L’ingresso della Cina nella World Trade Organization

Se si parla di globalizzazione dei mercati, un anno particolarmente significativo è senz’altro il 2001, quando la Cina ha fatto ingresso nella WTO (World Trade Organization), che ad oggi conta ben 164 Paesi aderenti e che mira a favorire i commerci nell’ambito dei relativi territori, abolendo o riducendo dazi e limitazioni di ogni genere.

La Cina, si sa, è un Paese dalla fortissima vocazione industriale: le sue produzioni sono oggi diffuse in tutto il mondo e i bassi costi di manodopera contribuiscono a rendere questa nazione orientale un territorio assai interessante per le aziende di altre nazioni che valutano la possibilità di delocalizzare le loro attività produttive. Ma che risvolti ha avuto per l’Occidente l’ingresso così prepotente nel mercato internazionale di un’autentica “bomba industriale” quale la Cina? A questa domanda ha provato a rispondere Nicholas Bloom, docente di Economia presso la Stanford University, giungendo ad alcune conclusioni molto interessanti.

La concorrenza cinese ha spinto le imprese statunitensi ad innovare

Secondo studi recenti condotti dal Prof. Bloom assieme ad altri docenti e ricercatori, la grande concorrenza della Cina ha stimolato le imprese statunitensi a crescere sotto l’aspetto dell’innovazione: dinanzi a un competitor così forte, anche in termini di prezzo del prodotto finale, molte di queste imprese si sono rimboccate le maniche per presentare sul mercato delle novità interessanti e per poter restare competitive.

Investire in ricerca e sviluppo, dunque, è stata la chiave per le aziende statunitensi, e i dati presentati dal Professor Bloom sono davvero emblematici: dal 2001, ovvero da quando la Cina ha aderito alla WTO, le nazioni industrializzate hanno sempre registrato una crescita annua compresa tra il 2% e il 2,4%.
Non solo: l’aumento del 10% dell’import cinese ha mediamente implicato, per le aziende degli Stati Uniti, una crescita del 12% degli investimenti in ricerca e sviluppo, una crescita del 3,2% della quantità di brevetti registrati e un incremento della produttività quantificato del 2,6%.

Dall’ingresso della Cina nella WTO (2001) le nazioni industrializzate hanno sempre registrato una crescita annua compresa tra il 2% e il 2,4%

Cosa c’è alla base di queste dinamiche

Si può dunque affermare senza alcun dubbio che, al contrario di quanto si potrebbe credere, la grande concorrenza cinese ha fatto bene al mondo produttivo degli Stati Uniti, come anche dell’Europa, e questo trend sarebbe assolutamente destinato a confermarsi negli anni a venire.

Da un lato, come detto, la presenza di un competitor industriale così forte ha spinto le imprese occidentali a innovare ideando delle nuove proposte che probabilmente, in un’economia più chiusa e protezionistica, non avrebbero mai lanciato o avrebbero lanciato in modo molto più lento, dall’altro c’è un ulteriore aspetto da considerare, ovvero che il diffondersi di un determinato prodotto può favorire la domanda di un altro, da intendersi non necessariamente come un bene materiale, ma anche come servizio.

Secondo Nicholas Bloom è emblematico, da questo punto di vista, l’esempio della Silicon Valley, nota area geografica statunitense in cui hanno sede molteplici aziende innovative e dalla forte vocazione tecnologica: l’industria cinese ha contribuito a rendere molto più basso il prezzo medio di prodotti di alta tecnologia quali smartphone e computer, rendendoli così accessibili ad una platea di consumatori molto più vasta, di conseguenza le start up e le aziende “tech” della Silicon Valley hanno visto crescere i loro orizzonti di business relativi a software e tutto ciò che ruota attorno all’utilizzo di questi dispositivi tecnologici.

A fronte di un abbassamento dei prezzi sui prodotti tecnologici generato dalla concorrenza cinese, le aziende della Silicon Valley hanno aumentato il profitto puntando sui servizi

Non tutte le imprese occidentali beneficiano del “boom” cinese

La concorrenza della Cina e in generale di tutti i Paesi che possono produrre a basso costo, dunque, non è un nemico dell’economia degli Stati Uniti e dell’Europa, anzi ha degli effetti che, come visto, sono inequivocabilmente virtuosi.

Tuttavia è necessario fare un’importante precisazione: se alcune aziende non soffrono la concorrenza di queste nazioni, o magari traggono perfino giovamento dalla crescita delle loro economie, per altre la situazione è del tutto differente.

La “storia a due regioni”: la Silicon Valley ed il Midwest

Proprio in relazione a quanto detto, Nicholas Bloom parla di “storia a due regioni“, facendo riferimento a due territori degli Stati Uniti che, per tipologie di imprese ospitate, ben incarnano i due “volti” dell’economia: da un lato la Silicon Valley, ovvero appunto aziende innovative, tecnologia e altissima specializzazione, dall’altro il cosiddetto Midwest, distretto industriale molto tradizionale, prettamente manifatturiero e con bassi livelli di specializzazione.

Le aziende del Midwest hanno sicuramente sofferto la globalizzazione e l’industria cinese si è per loro rivelata un ostacolo molto difficile da superare, il discorso invece, come detto, è stato del tutto diverso per la Silicon Valley, vantando aziende dal profilo completamente differente.

Con un’espressione emblematica, il Prof. Bloom afferma che chi è un operaio della Rust Belt, ovvero l’area industriale tradizionalmente più depressa degli Stati Uniti, è destinato a soffrire la concorrenza cinese, chi invece è un laureato della zona costiera (il riferimento è alla Silicon Valley), non ha di che temere.
La distinzione geografica, ovviamente, lascia il tempo che trova, ciò che realmente fa la differenza è appunto il diverso livello di specializzazione dei lavoratori, le attività in cui sono impiegati e le aziende a cui appartengono.

Secondo Bloom si viene a creare una bipartizione che premia i lavoratori con un alto grado di specializzazione, meno interessati dalla concorrenza dei paesi asiatici

Innovarsi è la chiave per restare competitivi, sia per le imprese che per i lavoratori

Concludendo, dunque, secondo Nicholas Bloom la globalizzazione dei mercati ha dei risvolti molto positivi per l’economia dell’intero Occidente, e sostiene che l’idea di praticare logiche protezionistiche per fronteggiare l’agguerrita concorrenza di Paesi come la Cina sarebbe paragonabile a un sacco da boxe che se colpito abbastanza forte, fa tornare indietro il colpo.

In futuro, secondo il Prof. Bloom, i mercati aperti a livello internazionale e la conseguente e costante crescita dell’innovazione favoriranno lo sviluppo di nuova ricchezza, una ricchezza che tuttavia, come visto, non potrà riguardare tutti indistintamente. Per restare competitivi in un mercato del lavoro come questo è senz’altro importante la cultura, la competenza, investire su sé stessi, ma lo è anche la capacità di sapersi reinventare ed essere consapevoli del fatto che è improbabile restare ancorati per tutta la vita lavorativa alla medesima professione.

L’idea di praticare logiche protezionistiche per fronteggiare l’agguerrita concorrenza di Paesi come la Cina sarebbe paragonabile ad un sacco da boxe che se colpito abbastanza forte, fa tornare indietro il colpo

Così come l’innovazione è alla base del successo delle aziende più competitive, così il lavoratore deve essere in grado di spendere le proprie competenze in modi altrettanto innovativi; anche ciò che viene oggi realizzato dalle più moderne aziende della Silicon Valley, d’altronde, tra alcuni decenni sarà senz’altro divenuto obsoleto.

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