Termovalorizzatori in Europa: il punto della Yale University

by Redazione
termovalorizzatori in Europa

I Paesi dell’Unione Europea hanno recentemente deciso di eliminare gli incentivi per la costruzione di nuovi termovalorizzatori dai programmi di sviluppo ecosostenibile. Nonostante per diversi anni l’Europa abbia incentivato la costruzione di questi sistemi in virtù della loro capacità di produrre calore ed energia in modo ecologico, oggi stanno crescendo sempre più le preoccupazioni relative alle emissioni di CO2 degli impianti, al punto da causare un cambio di rotta.

Su Yale Environment360, la rivista della Yale University dedicata all’ambiente, la giornalista Beth Gardiner ha offerto un resoconto molto interessante della situazione in Europa.

L’impatto degli inceneritori sull’ambiente

Per anni, i principali Paesi europei hanno riversato tonnellate di spazzatura nei propri inceneritori per ricavarne energia ed impattare meno sull’ambiente. Recentemente, le preoccupazioni legate alla produzione di CO2 e alla possibilità che gli inceneritori soppiantino il riciclaggio hanno spinto i funzionari UE a rallentare.

Tuttavia, diversi Paesi hanno già fatto sapere che, finanziamenti o meno, continueranno a dirottare una parte dei rifiuti prodotti verso gli inceneritori attualmente in funzione. Nazioni come Italia, Spagna, Polonia, Grecia, Bulgaria e Romania stanno progettando la costruzione di nuovi impianti, in modo da colmare il gap con Olanda, Germania e Paesi del Nord Europa, storici sostenitori di questo sistema di smaltimento. Anche il Regno Unito ha recentemente fatto sapere che diversi progetti relativi alla realizzazione di inceneritori sono in cantiere.

Ma cosa dicono le associazioni ambientaliste al riguardo? Secondo i più critici, in assenza di un deciso cambio di rotta, le promesse dell’Europa relative alla riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2050 sono destinate a restare tali. Attualmente, il Regno Unito brucia circa il 45% dei propri rifiuti. A proposito di questo dato, Georgia Elliott-Smith, ingegnere ambientale e attivista di Extinction Rebellion, ha affermato: “bruciare plastica durante un’emergenza climatica è pura follia”. Elliott-Smith ha recentemente denunciato il governo inglese per la sua (ampiamente contestata) decisione di escludere la riduzione di capacità dei termovalorizzatori dagli interventi tesi a limitare le emissioni pericolose.

Del resto la plastica, onnipresente e difficile da smaltire, viene prodotta utilizzando combustibili fossili, che per loro natura emettono anidride carbonica in fase di incenerimento, costituendo un pericolo notevole per l’ambiente. Spendere milioni di sterline per costruire nuovi inceneritori potrebbe invogliare il Regno Unito a bruciare i propri rifiuti per decenni, scoraggiando l’utilizzo di metodi più sostenibili quali il riciclaggio e il compostaggio. “Una volta che hai costruito la bestia, devi continuare a nutrirla”, ha affermato Georgia Elliott-Smith.

95 milioni

Le tonnellate di anidride carbonica prodotte dai termovalorizzatori europei nel 2018

Come sostengono le associazioni ambientaliste, diossina e particolato spesso non vengono neanche rilevati. Un rapporto realizzato dalla società di consulenza Eunomia per ClientEarth ha rilevato come i termovalorizzatori europei abbiano prodotto più di 95 milioni di tonnellate di CO2 nel solo 2018, ovvero il 2% delle emissioni totali rilevate nel Vecchio Continente. Ciò ha fatto sì che l’UE decidesse di eliminare gli inceneritori dai progetti “green” cui sono destinati i sussidi economici. Inoltre Bruxelles ha esortato tutti i Paesi UE a ridurre il più possibile l’incenerimento. “Sembra che le cose stiano davvero cambiando a Bruxelles”, ha affermato Janek Vähk, supervisore di Zero Waste Europe. I governi, a suo avviso, “hanno finalmente capito che l’incenerimento è una pericolosa fonte di gas serra”. Dal 1995 al 2019, l’incenerimento dei rifiuti nell’UE è raddoppiato, raggiungendo quota 60 milioni di tonnellate l’anno.

“I nostri impianti di termovalorizzazione oggigiorno forniscono energia a 18 milioni di europei e calore ad altri 15 milioni

Agnė Razgaitytė

Di parere opposto Agnė Razgaitytė, rappresentante della Confederazione europea degli impianti Waste-to-Energy (CEWEP): “senza incenerimento, i costi delle discariche tendono ad aumentare e con essi il pericolo che i rifiuti europei lascino il continente e vengano bruciati in ambienti privi di controlli o disseminati di corsi d’acqua”. Inoltre, le discariche impattano in maniera piuttosto grave sul clima: in fase di degradazione i rifiuti organici generano metano, impattando negativamente sull’effetto serra. “I nostri impianti di termovalorizzazione oggigiorno forniscono energia a 18 milioni di europei e calore ad altri 15 milioni“, ha affermato Razgaitytė, che ha poi concluso dicendo: “non credo che il settore della termovalorizzazione fallirà così presto”.

Le polemiche che hanno travolto il Regno Unito

Il Regno Unito sembra intenzionato a portare avanti decine di nuovi progetti in grado di raddoppiare la capacità di incenerimento del Paese. Alcuni indizi, tuttavia, suggeriscono che quanto detto potrebbe non trasformarsi in realtà. Qualche settimana fa, il Galles ha annunciato l’introduzione di una moratoria sui nuovi termovalorizzatori, oltre a un’imposta speciale sull’incenerimento.

Nel mese di febbraio, Kwasi Kwarteng, segretario per gli affari interni, la strategia industriale e l’energia, ha rifiutato di rispondere ad alcune domande relative alla costruzione di un nuovo termovalorizzatore nel Kent, a pochi chilometri da Londra. Nel Cambridgeshire, i progetti relativi a un nuovo impianto sono saltati a causa della ferma opposizione di residenti e politici locali. Nel frattempo, l’azienda che gestisce lo smaltimento dei rifiuti in sette quartieri della capitale ha previsto di aumentare la portata di un inceneritore situato nell’area di Edmonton, popolata soprattutto da immigrati. Si tratta di una delle aree a più basso reddito della capitale, percorsa notte e giorno da decine di camion.

Delia Mattis, attivista di Black Lives Matter, ha affermato che si tratta di una scelta razzista, che non tutela i diritti degli abitanti di una zona dimenticata, nel quale l’aspettativa di vita è circa 7 anni inferiore a quella degli altri quartieri della città. Un rapporto realizzato da Unearthed, sezione investigativa di Greenpeace, ha scoperto come gli inceneritori inglesi siano quasi sempre ubicati nelle zone più povere e degradate del Paese.

La posizione di Svezia e Danimarca

Negli ultimi anni, la Danimarca ha investito così tanto nei termovalorizzatori che nel solo 2018 ha importato quasi un milione di tonnellate di rifiuti. I termovalorizzatori generano poco più del 5% dell’elettricità del Paese e circa il 25% del calore immesso nelle reti di teleriscaldamento, ha spiegato Mads Jakobsen, direttore della Danish Waste Association, ente che rappresenta le amministrazioni locali e le aziende di smaltimento rifiuti.

I termovalorizzatori danesi generano il 5% dell’elettricità e il 25% del calore necessario per il teleriscaldamento

Mads Jakobsen (direttore della Danish Waste Association)

Tuttavia, per ridurre le emissioni, il governo danese ha stabilito una diminuzione della capacità d’incenerimento pari al 30% nei prossimi dieci anni. Obiettivo raggiungibile mediante una forte presa di coscienza e la chiusura definitiva di ben 7 inceneritori. “È ora di smettere di importare plastica dall’estero e bruciarla a scapito del clima”, ha affermato Dan Jorgensen, ministro dell’ambiente. Le preoccupazioni relative all’uso sproporzionato dei termovalorizzatori sta preoccupando, e non poco, l’Unione Europea.

Eppure, nazioni come la Svezia, che da anni fanno affidamento su questo genere di tecnologia, affermano di essersi dotate di sistemi di rilevamento delle emissioni all’avanguardia e che tali preoccupazioni sono del tutto fuori luogo. Se in Scandinavia il problema è già stato (in parte) affrontato, non si può dire lo stesso per i Paesi che non dispongono delle risorse economiche necessarie per tenere sotto controllo l’inquinamento in maniera efficace.

Le scelte dei vari Paesi UE

Per adesso, i singoli Paesi restano liberi di commissionare e finanziare nuovi inceneritori. In alcune nazioni è possibile persino richiedere i sussidi destinati all’energia rinnovabile, a condizione che nei termovalorizzatori i rifiuti vengano separati prima di essere inceneriti, affinché il materiale compostabile o riciclabile non venga bruciato.

Tutto ciò mentre l’Unione Europea sta spingendo per ridurre l’uso della plastica, vietando la vendita di articoli usa e getta quali stoviglie, bicchieri e piatti. Tra gli obiettivi fissati dall’UE figura l’aumento dei rifiuti riciclati. A tal proposito, le associazioni ambientaliste sostengono che i termovalorizzatori potrebbero minacciare questo traguardo. Una volta avviati, questi impianti cannibalizzano il riciclaggio dei rifiuti poiché le amministrazioni locali sono spesso vincolate da accordi che rendono più conveniente incenerire i rifiuti che smistarli per i riciclatori.

Una volta avviati, gli impianti di termovalorizzazione cannibalizzano il riciclaggio dei rifiuti poiché le amministrazioni locali sono spesso vincolate da accordi che rendono più conveniente incenerire che riciclare

Come accennato, Grecia, Bulgaria e Romania non hanno alcuna intenzione di rallentare sulla costruzione dei nuovi impianti di termovalorizzazione in progetto. Attualmente, questi 3 Paesi versano nelle loro discariche buona parte dei rifiuti prodotti, ha affermato Agne Razgaitytė. Anche Italia e Spagna hanno fatto sapere di avere in progetto nuovi impianti. Paweł Głuszyński, portavoce della Society for Earth, gruppo ambientalista polacco, ha spiegato che la Polonia possiede 9 inceneritori, oltre a un numero indefinito di industrie che usano come combustibile i rifiuti trasformati.

70 progetti stanno per essere approvati, comprese alcune proposte il cui obiettivo è convertire vecchie centrali a carbone in termovalorizzatori. E nei pressi dei numerosi impianti disseminati in Polonia sono state spesso rilevate sostanze dannose come furani e diossine, ha aggiunto Głuszyński.

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